Fallimento o concordato preventivo della mandante, diritti e doveri dell’agente di commercio

In questo momento storico gli agenti si trovano nella situazione di dover spesso gestire il proprio rapporto di agenzia nei casi di crisi economica delle società preponenti, normalmente nel silenzio degli organi amministrativi che nulla o poco lasciano trapelare circa le sorti della società, creando dei momenti di stasi del rapporto di collaborazione che possono durare anche diversi mesi, durante i quali l’agente non sa se considerarsi ancora vincolato alla propria preponente o libero di cercare nuovi incarichi.

La legge fallimentare non prevede per l’agenzia l’applicazione di norme speciali, conseguentemente trovano applicazione le norme generali previste per la generalità dei “rapporti pendenti”.
In caso di fallimento della società preponente trova applicazione la norma di cui all’art. 72 L.F. secondo la quale l’esecuzione del rapporto di agenzia “rimane sospesa fino a quando il curatore, con l’autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendo tutti i relativi obblighi ovvero di sciogliersi dal medesimo”. Una volta intervenuto il fallimento la scelta se proseguire o meno il rapporto di agenzia spetta al curatore fallimentare, pur in presenza, come spesso accade, dell’inadempimento della società preponente (poi fallita) che non adempie, a volte anche già da diversi mesi, alle proprie obbligazioni (per es. non consegna il campionario, non paga le provvigioni, non consegna i prodotti, ecc.).
L’agente, ancora contrattualmente vincolato alla società fallita, per accelerare i tempi di decisione degli organi della procedura fallimentare (curatore e comitato dei creditori) può soltanto “mettere in mora il curatore, facendogli assegnare dal giudice delegato un termine non superiore a sessanta giorni, decorso il quale il contratto si intende sciolto”.
La disposizione in esame non è derogabile dalle parti: l’art. 72, comma 6°, L.F. stabilisce l’inefficacia delle clausole negoziali che fanno dipendere la risoluzione del contratto dal fallimento della preponente.
In caso di cessazione del rapporto con tali modalità, non potendo equiparare la decisione del curatore di sciogliersi dal contratto (considerata l’impossibilità oggettiva a proseguire l’attività di impresa) ad un recesso volontario della preponente, allo stato la dottrina prevalente ritiene che all’agente non spetti la indennità sostitutiva del mancato preavviso e neppure l’indennità suppletiva di clientela; vi è invece una apertura circa il diritto alla liquidazione della indennità ex art. 1751 c.c. con tutta la difficoltà di dimostrare la permanenza in capo alla preponente dei vantaggi derivanti dall’incremento di clientela e di fatturato (possibile, per esempio, nei casi di esercizio provvisorio dell’impresa oppure cessione di un marchio forte e del relativo avviamento).
Anche dopo la riforma, la legge fallimentare nulla dispone in merito agli effetti del concordato preventivo sui “rapporti giuridici pendenti” e quindi nel caso concreto sui rapporti di agenzia. In mancanza di norme al riguardo la dottrina si è orientata nel ritenere che durante la procedura concorsuale i contratti non cessino, salvo che la risoluzione del contratto sia già prevista nel piano predisposto dal preponente.
E’ evidente che in tale ultimo caso è il preponente stesso ad esercitare volontariamente il recesso e pertanto la dottrina ritiene che l’agente abbia diritto tanto alla indennità sostitutiva del mancato preavviso che alla indennità suppletiva di clientela (e, a maggior ragione, ricorrendone i presupposti, all’indennità ex art. 1751 c.c.).
Nel caso in cui il piano concordatario nulla preveda occorre precisare che, fermo restando che il contratto continua ad essere valido ed efficace, la preponente ammessa al concordato può chiedere di essere autorizzata alla sospensione del contratto per non più di 60 giorni prorogabili una sola volta.
Qualora invece il piano del concordato preveda la prosecuzione del rapporto per continuità aziendale ex art. 186 bis, 3° co., L.F., le provvigioni maturate prima dell’ammissione della preponente alla procedura concorsuale verranno pagate, in via privilegiata (quelle maturate nell’ultimo anno di attività), nel rispetto dei termini e delle condizioni del concordato, mentre le provvigioni maturate successivamente dovranno essere soddisfatte in prededuzione, trattandosi di credito sorto in occasione o in funzione della procedura.
Da quanto sopra risulta di notevole importanza che l’agente ponga in essere tempestivamente il recesso (prima della dichiarazione di fallimento o di ammissione al concordato preventivo), allorquando sia in presenza di inadempimenti della preponente da ritenersi “gravi” cioè di notevole entità e tali da far venire meno il rapporto fiduciario.

Fonte: Avv. Anna Pan